“Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra”
Questa frase del Vangelo di Matteo ascoltata in una messa della settimana mi ha fornito lo spunto per queste riflessioni. L’Italia assomiglia a questo regno diviso ormai da una trentina di anni.
Dopo gli anni di tangentopoli, infatti, e la cancellazione dei patiti storici che avevano restituito all’Italia la dignità nazionale e il credito internazionale (maggioranze e opposizioni pur con ruoli diversi e divergenti) è subentrata l’enfasi del cambiamento, il mito della seconda repubblica (mai decollata).
La competizione politica si è trasformata da competizione tra partiti, cioè tra diverse visioni del mondo e della politica, a competizione tra persone, lasciando per lo più nel vago le visioni politiche strategiche.
Iniziò così la stagione delle parabole (non quelle evangeliche!), la successione di nuovi e diversi leader. Nel 1994 Berlusconi a sorpresa fece il pieno di vori; due anni dopo fu la volta di Bossi che si prese tutto il Nord.
Successivamente venne il tempo del dualismo Prodi/Berlusconi a segnare la competizione con i noti alti e bassi di entrambi; fino al “commissariamento” graziosamente impostoci con Monti e la successiva parabola di Renzi che ci ha lasciato in eredità due governi grillini di cui paghiamo oggi le conseguenze e che hanno alla fine richiesto l’intervento di un ulteriore deus ex machina come Draghi per riassettare la navicella in pericolo. E ora il governo Meloni coperto da una maggioranza parlamentare numericamente solida.
In questi anni, sommariamente ricordati senza pretesa di completezza o precisione, abbiamo assistito e continuiamo a farlo, a un fenomeno credo particolare del nostro paese: chi perde le elezioni considera il vincitore alla stregua di un “usurpatore”. Da qui anche i toni della politica che prende di mira la persona fino alle caratteristiche fisiche e ai problemi personali privati. Il tutto moltiplicato dai post sulle reti sociali.
Se escludiamo per un momento dalla riflessione i due politici figli comunque della prima repubblica, Berlusconi e Prodi, dobbiamo solo prendere atto delle parabole costituite da personaggi presentati come rivoluzionari o comunque portatori di forti cambiamenti e che sono stati costretti a rientrare nei ranghi della normalità (Bossi, Renzi, Grillo/Conte).
L’attuale legislatura ha consentito il formarsi di una maggioranza articolata che ha chiesto e ottenuto il voto degli italiani per governare, cioè fare il bene dell’Italia e degli italiani.
Perché questo sia possibile è indispensabile che l’obbiettivo di tutta la coalizione sia il bene del paese (o della nazione come dice Meloni) e non l’attenzione spropositata alle variazioni micro percentuali del consenso rilanciate dai social con frequenze avvicinatissime.
Il governo deve sintonizzarsi innanzitutto con il cuore vero dell’Italia piuttosto che con quella fetta faziosa costituita dalla più parte dei social. Per governare bene un paese non bastano i voti che ti legittimano a livello istituzionale ma serve saper coinvolgere quanti più cittadini possibile sulle scelte da prendere e soprattutto sui sacrifici necessari per far crescere il paese.
Alcuni dati sono preoccupanti: la denatalità è finalmente entrata nelle agende anche se ancora timidamente per colpa di una cultura diffusa anti-famiglia; come accettare che l’Italia sia l’unico paese in Europa in cui i salari nell’ultimo ventennio siano diminuiti invece che aumentati?
Come non difendersi dai continui attacchi che vengono portati al nostro sistema manifatturiero, eccellenza in Europa, fonte di ricchezza ma anche di cultura del lavoro ineguagliabile? Come non agire per riequilibrare un green deal figlio di un’ubriacatura ambientalista che perde ogni giorno di più i contatti con la realtà della vita di persone e imprese?
Temi e problemi complessi molti dei quali dipendono dai rapporti europei i cui legami richiedono profonde revisioni che potrebbero essere possibili dopo le europee del 2024.
Sarebbe tuttavia meglio non illudersi che basti rafforzare il premier per far funzionare meglio l’Italia. Guardiamo la Francia dove il massimo potere del Presidente eletto direttamente (quel sistema è stato paragonato a una monarchia) ma senza un’ampia maggioranza di base lascia la Francia nel caos attuale.
Il necessario rafforzamento del premier funziona se inserito in un sistema di sussidiarietà in cui le funzioni essenziali sono in capo alla Stato ma alle Regioni viene attribuita ampia autonomia, legando tuttavia alla piena responsabilità di spesa nelle materie proprie anche la responsabilità del prelievo fiscale ai propri cittadini., Il divario tra Nord e Sud può essere affrontato solo tagliando l’assistenzialismo, aumentando la responsabilità gestionale degli amministratori, investendo sulle realtà positive ben presenti.
Su questi temi dovrebbe essere aperto un dibattito a livello nazionale tra le forze politiche, certo, ma anche tra i soggetti dell’economia e dei servizi e del terzo settore per poter dar luogo a una riforma costituzionale non solo condivisa ma anche capita.
“Sicinio – Che cos’è la città, se non il popolo?
Plebei – Giusto, Sicinio, la città è il popolo!
E’ una battuta dal Coriolano di Shakespeare, merita la citazione dato che c’è una brutta tendenza nelle democrazie, non solo in Italia, ed è quella che considera il popolo come un soggetto non idoneo per occuparsi dei problemi complessi generati dalla modernità: così si auspicano governi di tecnici e competenti. E’ una tentazione non nuova, viene addirittura dall’antichità, ma che va rifiutata.
Per capire di cosa possa essere capace un popolo, e quello italiano in particolare, basta girare l’Italia e constatare come si generino bellezze – le città ma anche le modifiche e gli abbellimenti dei territori – quando c’è una speranza e una visione positiva della vita e del futuro.
Provare a ripartire da qui per migliorare un paese che merita non parabole effimere ma stabili coalizioni impegnate per il bene comune.
didascalia: San Matteo – Chiesadimilano